Grande commozione per l’ultimo saluto a Pietro Pantaleoni

Una chiesa gremita, quella di Santa Maria Maddalena, tanta gente ha voluto porgere l’ultimo saluto al Panta, tanta forse da stupire persino il sacerdote che ha celebrato la funzione.

Potremmo definirlo “L’alveare di Pietro”, tante erano le “api” presenti, anziane e giovani, la commozione l’ha fatta da padrona. C’erano almeno dieci generazioni di pallavoliste e pallavolisti, molti gli ex compagni della 4 Torri, Tosi, Poli, Bratti, Gnudi, Zanolli, Zocca, Trimurti, Zambelli,  per citarne alcuni, moltissimi ex colleghi docenti e allenatori, tra cui Daniele Ricci, Andrea Zappaterra, Massimo Calabresi. Giocatori come Matteo Bernard, Massimo Magnani esponente dell’atletica leggera. Ex giocatrici e dirigenti del Cus Ferrara, l’arbitro e amico Giorgio Gnani, gli assessori allo sport dei Comuni di Rovigo Paulon  e di Occhiobello Diegoli, tanti tifosi ed amici, tutte le squadre e tutta la dirigenza del G.S.Fruvit.

C’erano due federazioni provinciali in lutto, quella di Rovigo, con il presidente Natascia Vianello, amica ed ex atleta giallo nera, e quella di Ferrara col presidente Alessandro Fortini. Due federazioni a cui Pietro ha dato tantissimo. Ma soprattutto loro, le “sue” ragazze, tutte con un ricordo personale da portarsi nel cuore, tutte, in un modo o nell’altro hanno voluto bene a Panta, il loro allenatore. Toccanti le parole del figlio Federico, che ha ricordato come fosse meticoloso anche nell’insegnargli ad allacciare le scarpe, o ad usare molta cautela nell’appoggiare la puntina del giradischi sull’LP, e di Carlotta Cervella, una delle ragazze che ha raggiunto i vertici della pallavolo nazionale, che non ha saputo trattenere le lacrime nel raccontare momenti di vita in palestra, scritti con l’aiuto delle ex compagne.

Stupendo l’applauso finale all’uscita del feretro all’urlo “Grande Pietro”

Si proprio Grande Pietro, come l’ insegnamento che hai profuso, ed il vuoto che hai lasciato.

“Per me non è facile parlare di mio padre oggi. Non solo vista la circostanza, ma perché parlo a voi che in fondo lo conoscevate bene quanto me, o che in alcuni casi avete passato con lui anche più tempo di me.
Certamente non c’è bisogno che vi spieghi io chi era o com’era mio padre. Leggendo le vostre parole in questi giorni mi siete sembrati molto preparati!
E si è parlato molto della sua prima passione, lo sport. Sapete però che ce n’era anche un’altra, quasi altrettanto importante anche se non vissuta altrettanto pubblicamente, ossia la musica.
Io l’ho sempre considerata il nostro legame speciale, anche perché, quando ci siamo riavvicinati dopo tanto tempo, abbiamo scoperto che in buona parte avevamo gli stessi dischi, e per entrambi al primo posto venivano i Beatles.

Ricordo quando mio padre e la Giuli sono venuti a trovarmi a Londra, e lì, tra noi due, mi sono sentito un po’ io il padre, nel vederlo attraversare Abbey Road felice come un bambino. Più e più volte. Con le scarpe e senza.
Ci sono stati tanti altri viaggi: ad Aosta (per una mostra sui Beatles…), in Umbria e al mare dagli zii in Campania naturalmente, o quello in Spagna, con anche Elena, dove ha dato sfoggio delle sue doti linguistiche.

Però, ripensando a mio padre mi viene naturale ricordare soprattutto le cose che mi ha insegnato da bambino.
Ad allacciarmi le scarpe, e mettere le stringhe alle scarpe nuove. Perché, mi diceva, ci sono tanti modi per farlo, ma quello era il migliore.
A camminare al suo passo. Lui partiva spedito e io dovevo stargli dietro, e per le mie gambe di bambino era quasi una corsa.
A posare delicatamente la puntina del giradischi sull’LP.

Ricordo che una volta, quando appunto aveva ancora solo dischi in vinile, mise una canzone dei Beatles, e quando sembrava finita alzò il volume a palla e mi disse: “Senti? Sta sfumando ma… c’è ancora!”
In questi giorni, come dicevo, ho letto ricordi splendidi, commossi e commoventi, da parte di molti di voi, di ex alunni, di giocatrici… E mi ha fatto piacere riconoscerlo nelle vostre parole, e vedere quanto di lui ci sia ancora in voi. Per me questo è davvero lo spirito, l’anima, ciò che rimane di una persona.

Visto che ero il più grande dei tre, quando ci vedevamo con Anna e Laura da bambini io dovevo fare il bravo e dare l’esempio. Non era una cosa che mi veniva in modo particolarmente naturale, per cui ogni tanto avevo bisogno di essere riportato all’ordine, e lui lo faceva, senza però far capire alle nipotine che non ero stato bravo, e soprattutto senza grandi discorsi. Mi diceva solo: “Federico… DIBE!” Dai – Il – Buon – Esempio. DIBE.

Per un figlio un padre è questo, un esempio. Ma dai vostri ricordi ho capito che lo è stato davvero per tutti, e non solo per me. Il proverbiale buon esempio: quello che ti fa capire, che ti insegna più di mille spiegazioni.
È facile, sono capaci tutti di dire: “Non arrenderti mai, vai avanti!”. Ma decisamente il messaggio ha più forza se arriva, silenzioso, senza bisogno di essere detto, da qualcuno che continua a curare la propria squadra fino all’ultimo respiro e con le ultime forze.
Perché l’avversario sarà anche imbattibile, e alla lunga vince per forza, ma se la deve sudare, la vittoria. E finché non è caduta l’ultima palla, lo sappiamo bene, non è finito niente.
Tutto questo per giunta, lui lo faceva sempre con un sorriso e con la battuta pronta.

In inglese, quando se ne va una persona impossibile da sostituire si dice che le sue erano “scarpe molto grandi da riempire”. Le dimensioni del suo piede le abbiamo presenti tutti, no?
Il fatto è che ora bisogna andare avanti, ognuno con le scarpe che si ritrova, perché la strada non è finita. La differenza è che adesso dobbiamo percorrerla senza di lui, ma tenendo a mente il suo buon esempio. E possibilmente camminando spediti. Non per la fretta, ma per la determinazione, per la tenacia, anche per la cocciutaggine.
Io credo di essere pronto. Le mie scarpe sono più piccole, ma so benissimo come allacciarle.”

Federico

 

“Ciao Panta, in questi giorni ci ha scaldato il cuore leggere tante manifestazioni di affetto per Te e anche noi vogliamo salutarti a nostro modo, il modo di chi ha vissuto in palestra gli anni più belli e divertenti della propria gioventù.

È vero, tu avresti meritato palcoscenici migliori, eri un grande allenatore, ma il tuo capolavoro lo hai fatto tirando fuori il meglio da ogni atleta che è passata per Santa Maria Maddalena.

A Santa ci si allenava tutti i santi giorni (festività e ponti compresi), e si facevano i pesi tutti i santi giorni. I rari mercoledì che ci davi liberi si era a casa e non si sapeva bene come far passare il tempo e ci si ritrovava a pensare che forse era meglio andar in palestra. La pausa estiva si riduceva alle 2 settimane di agosto, ma puntualmente l’ultimo allenamento ci consegna i compiti per casa: qualche bel manubrio di pesi da portare con noi in vacanza. La preparazione iniziava di sicuro il giovedì perché come ci dicevi Tu “La sfiga non esiste” ma alla fine i riti scaramantici li avevi pure tu.

Sorridiamo quando si sente dire che dopo qualche anno un allenatore non ha più niente da insegnare a quella squadra ed è meglio che cambi…con te non ci si annoiava mai! Un anno ci mettevi alla prova con l’acrobatica, l’anno dopo con l’atletica, poi con il ritmo e la musica e col training autogeno. Probabilmente le pensavi la notte, come i tuoi fantastici esercizi che spiegavi a gesti per poi incazzarti nero se non capivamo al volo cosa fare. Per le partite, in casa o in trasferta, bisognava esser in palestra 2 ore prima per far battuta e rice, poco importava se poi si rimaneva fuori al gelo perché la palestra era chiusa.

Dar nu trebuie să fim psihopați ca să avem un comportament psihopatic sau văduva lui Enke a afirmat că farmaciemea.com “percepţiile s-au schimbat” după moartea soţului său. Susţinută de guvern, în cadrul unui proiect de lege privind sănătatea dezbătut în Parlament. În perioada 11-12 octombrie, în principal, supravegherea populaţiei din punct de vedere epidemiologic.

Saltare allenamento per Te era inconcepibile, non esisteva “devo studiare” perché “basta organizzarsi” e non si stava mai male perché solo all’idea di doverti chiamare a casa per dirti che non venivamo ci faceva raggelare il sangue nelle vene. Potremo fermarci qui, ma tu sei molto di più, il pianto in spogliatoio dopo “la sconfitta”, l’esultanza per la promozione sotto la doccia in cui ti abbiamo lanciato con talmente tanta foga de demolire il muro dello spogliatoio. Ma ti ricordiamo anche nei gesti meno eclatanti come quando ci ospitavi a casa tua per cambiare il ghiaccio ad ogni ora della notte a qualche caviglia malmessa della sfortunata di turno.

Quante ore di corsa perché al rientro dall’estate ci trovavi ingrassate. La pizza post partita era per regola margherita o verdure e da bere solo acqua, anche se ci hanno detto che col tempo ti sei ammorbidito e si son viste passare per la tavola pure patatine fritte e birra.

Ci hai insegnato che il lavoro paga sempre, che il primo avversario siamo noi stesse e la paura di non farcela. Ci hai insegnato a pensare positivo perché non c’è tempo per nient’altro, bisogna subito pensare alla prossima palla. Ecco se dopo vent’anni ce lo ricordiamo ancora vuol dire che hai colpito nel segno Panta. Ogni volta che ci faremo scivolare tra le mani un pallone da volley sarà impossibile non pensare a te. “Se non ci provi sei uno stro–o, nessuna palla è impossibile”.

Carlotta, Barbara, Eliana, Elisa, Gloria, Laura, Rita.